Crescita record del 13% rispetto allo scorso anno per lo Street Food italiano, con ben 2.271 imprese impegnate nel 2016 nella preparazione di cibo per il consumo immediato presso banchi del mercato o con furgoni attrezzati. E’ quanto emerge dallo studio sul Cibo di strada tra rischi ed opportunità,divulgato in occasione della mobilitazione di sabato 11 giugno di migliaia di agricoltori nella Capitale, per difendere l’identità alimentare nazionale nei centri storici. La Lombardia con 288 realtà e un incremento annuo del 26% è la regione italiana dovelo Steet Food italiano è più presente, ma sul podio salgono anche la Puglia (271) e il Lazio (237) mentre una diffusione consistente si ha anche in Sicilia (201), Campania (189), in Piemonte (187), Veneto (161) e Toscana (142) secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Unioncamere relativi al marzo 2016.

Il problema è che i cibi più rappresentativi dell’identità alimentare nazionale, spariscono dopo secoli dai centri storici dove si perde così un patrimonio culturale e turistico oltre che economico ed occupazionale. Dal kebab al sushi, dalla frutta esotica a quella fuori stagione, ma anche le caldarroste congelate durante tutto l’anno si trovano ovunque mentre per il baccalà fritto da passeggio a Roma, l’intruglio della Versilia o il panino e milza a Palermo i turisti sono costretti a cercare su internet o nelle guide. Alla crescita si accompagna infatti un preoccupante perdita del radicamento territoriale e un impoverimento della varietà dell’offerta, ma anche uno scadimento qualitativo con preoccupanti riflessi sul piano sanitario. Si assiste, in particolare, ad un progressiva tendenza alla distribuzione in commercio nei centri storici di alimenti lontani dalle tradizioni gastronomiche locali, con un appiattimento e una omologazione verso il basso che distrugge le distintività. Il risultato è che i turisti trovano da Palermo a Milano gli stessi cibi di New York, Londra o Parigi. Una situazione che ha già portato realtà turistiche di prestigio internazionale come Firenze a valorizzare il cibo locale nelle nuove aperture in centro storico con l’obiettivo di considerare anche il commercio alimentare come un “patrimonio immateriale culturale” da tutelare, alla pari di quello architettonico. L’intenzione è quella di evitare la standardizzazione degli esercizi verso tipologie lontane dalla tradizione e cultura territoriale, lasciando poi ad una Commissione il compito di valutare eventuale deroghe.

A sostenere questo percorso di qualificazione dell’offerta alimentare ci sono gli oltre mille mercati degli agricoltori che si sono diffusi in molte grandi e piccole città grazie alla Fondazione Campagna Amica che ha realizzato la più vasta rete di vendita diretta a livello mondiale. In questi mercati si trovano prodotti locali del territorio, messi in vendita direttamente dall’agricoltore nel rispetto di precise regole comportamentali e di un codice etico ambientale, sotto la verifica di un sistema di controllo di un ente terzo. Nei mercati c’è grande attenzione alla sostenibilità con la distribuzione delle “agribag”, pratici contenitori innovativi anche per il consumo itinerante che consentono di non buttare via niente e tagliare gli sprechi. “Portare nelle piazze e nelle strade dei centri storici le specialità custodite dalle campagne limitrofe per generazioni arricchisce l’offerta storico culturale di cui il patrimonio gastronomico fa integralmente parte”, ha concluso il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “la realizzazione di farmers market, di punti di filiera corta, di chioschi dello street food risponde ad un più ampio disegno di ridefinizione di comportamenti di consumo nelle città più attenti alle aspettative dei cittadini e soprattutto dei turisti”.